martedì 30 novembre 2010

Divina Commedia- Inferno (Canto 1)


Divina Commedia- Inferno (Canto 1)

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita. 3

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura! 6


Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte. 9

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai. 12

Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto, 15

guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle. 18

Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta. 21

E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata, 24

così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva. 27

Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso. 30

Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta; 33

e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
36

Temp’era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino 39

mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle 42

l’ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone. 45

Questi parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse. 48

Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame, 51

questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.
54

E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista; 57

tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace. 60

Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco. 63

Quando vidi costui nel gran diserto,
"Miserere di me", gridai a lui,
"qual che tu sii, od ombra od omo certo!". 66

Rispuosemi: "Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui. 69

Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. 72

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ’l superbo Ilïón fu combusto. 75

Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?". 78

"Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?",
rispuos’io lui con vergognosa fronte. 81

"O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ ha fatto cercar lo tuo volume. 84

Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ ha fatto onore. 87

Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi". 90

"A te convien tenere altro vïaggio",
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
"se vuo’ campar d’esto loco selvaggio; 93

ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; 96

e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria. 99

Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia. 102

Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro. 105

Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute. 108

Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla. 111

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno; 114

ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida; 117

e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti. 120

A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire; 123

ché quello imperador che là sù regna,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna. 126

In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio:
oh felice colui cu’ ivi elegge!". 129

E io a lui: "Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
acciò ch’io fugga questo male e peggio, 132

che tu mi meni là dov’or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti". 135

Allor si mosse, e io li tenni dietro.

PARAFRASI

Il canto primo dell'Inferno di Dante Alighieri funge da proemio all'intero poema, e si svolge nella selva e poi sul pendio che conduce al colle. Qui Dante incontra Virgilio, che lo accompagnerà nella visita dell'Inferno, prima tappa della sua purificazione dal peccato.
A metà del cammino ideale della nostra vita avendo smarrito al strada giusta mi ritrovai in una foresta buia. Ah è molto difficile dire come era questa foresta selvaggia, fitta e impenetrabile senza che il suo pensiero non mi spaventi. Tanto è amara che solo la morte lo è di più; ma per parlare delle belle cose che ho trovato, ne dirò anche delle altre che ho visto. Non so dire esattamente come entrai nella foresta, tanto ero assonnato quando abbandonai la via della verità. Ma quando giunsi ai piedi di un colle là dove terminava quella valle che mi aveva trafitto il cuore di paure, guardai in alto e vidi le sue pendici illuminate già dai raggi del pianeta che guida ciascun uomo per la giusta strada. Allora si quietò la paura che si era consolidata nella cavità del mio cuore durante la notte che passai con tanto timore.E come quel naufrago che, con il respiro affannato, giunto fuori dal mare, si volta a guardare l’ acqua pericolosa, così il mio animo, che fuggiva ancora, si voltò indietro a contemplare il passaggio che nessuno aveva mai attraversato uscendone vivo. Dopo aver lasciato il corpo a riposarsi, ripresi il cammino per la campagna deserta,facendo si che il piede fermo fosse sempre il più in basso.(in salita) Ed ecco, quasi all’ inizio della salita, una pantera dal manto maculato snella e molto agile; e mi si mise davanti senza spostarsi impedendomi di proseguire il cammino, così fui costretto a tornar più volte indietro. Era quasi l’ alba e il sole sorgeva insieme alle stelle che erano con lui quando l’ amore divino compì la creazione di quelle cose belle; così che erano motivo di sperare a proposito di quella fiera dalla pelle leggiadra l’ ora e la stagione primaverile;ma non così tanto che non mi spaventasse la vista dell’ apparizione di un leone. Questo pareva venirmi in conto con la testa alta e incredibile fame, tanto che sembrava che l’ aria tremasse. E apparve una lupa, nella sua magrezza, sembrava farsi carico di tutti i desideri del mondo, e già mise in crisi la vita di molte persone, questa mi oppresse fino a che la paura che mi faceva venire a guardarla, mi fece perdere le speranze di arrivare in cima. Come quello che accumula beni, e quando giunge il momento in cui perde tutto non ha pensieri che per piangere e rattristarsi, così mi trasformò la bestia irrequieta, che, venendomi incontro pian piano, mi faceva tornare nella foresta buia. Mentre precipitavo verso la foresta si offrì alla mia vista colui che a causa del silenzio pareva un ombra. Quando vidi questo uomo nel deserto, gli gridai: “Abbi pietà di me chiunque tu sia, fantasma o uomo”. Mi rispose: “Non sono un uomo, uomo lo ero, e i miei genitori furono lombardi, entrambi mantovani di nascita. Nacqui sotto Giulio Cesare, ma ero piccolo quando morì, vissi a Roma sotto il buon Augusto nel tempo delle false divinità pagane. Fui un poeta e cantai la storia di quel giusto figlio di Anchise che venne da Troia, dopo che fu bruciato lo splendido Ilion. Ma tu perchè ritorni a tanta sofferenza? Perché non sali il monte dilettoso Che è l’ inizio di tutte le gioie?” “Dunque sei tu quel famoso Virgilio, fa fonte di tutto quello splendido fiume di parole?” gli risposi abbassando lo sguardo. “Oneri e insegnamenti degli altri poeti mi valgano il lungo studio e il grande amore che mi ha spinto a studiare la tua opera. Tu sei il mio maestro e il mio autore preferito, tu sei il solo da cui presi il magnifico stile che mi ha reso celebre. Vedi la bestia che mi ha fatto tornare indietro; aiutami tu che sei famoso per la tua saggezza, poiché ella mi ha fatto svenire dalla paura”. “Tu devi intraprendere un altro viaggio”, rispose dopo che mi vide piangere, “se vuoi scappare da questa foresta; poiché questa bestia, della quale hai paura, non lascia passare nessuno per la sua via, ma ostacola chiunque fino ad ucciderlo; e ha una natura così cattiva, che la sua voglia bramosa non sazia mai, e dopo aver mangiato ha più fame che prima. Gli animali con cui si accoppia sono molti, e saranno ancora di più , fino che il veltro non verrà a farla morire dolorosamente. Non si ciberà né di terre né di denaro, ma di sapienza, amore e virtù, e nascerà tra poveri panni. Sarà la salvezza di quell’ umile Italia Per cui morirono la vergine Camilla, Eurialo, Turno e Niso di ferute. Questi la caccerà per ogni città fino a che non l’ avrà rimessa nell’ inferno, là dove l’ invidia di Lucifero la scatenò. Quindi per il tuo bene penso e scelgo che tu mi segua, ed io sarò la tua guida, e ti trascinerò da qui attraverso il luogo eterno, dove sentirai le grida disperate, vedrai le antiche anime sofferenti,poiché della seconda morte tutti si lamentano; e vedrai coloro che sono contenti nel fuoco, perché sperano di giungere, prima o poi, tra le genti beate del paradiso. Al quale potrai salire, e ti guiderà un’ anima più degna di me: a lei ti lascerò andandomene; perché l’ imperatore che regna lassù, poiché mi ribellai alla sua legge, non vuole che vada alla sua città. Egli omanda da tutte le parti e qui lui è il re, questa è la sua città e l’ alto trono: oh, felice chi viene scelto!”. E gli dissi: “Poeta io ti chiedo in nome di quel Dio che non hai conosciuto, perchè io fugga da questo male e un eventuale peggioramento, che tu mi conduca la dove hai detto, facendo si che io veda la porta di San Pietro e tutti coloro di cui mi hai raccontato”. Allora si incammino, e io lo seguii.

giovedì 25 novembre 2010

Alice senza niente di Pietro De Viola


Alice senza niente di Pietro De Viola (romanzo gratuito online)



Alice insieme al suo ragazzo, raccontano la vita di molti giovani dei nostri giorni. Vivono di precariato, dozzine di curriculum inviati, colloqui, speranze, uniti al portafoglio vuoto, all'arrangiarsi anche per mettere qualcosa in frigo, i prezzi del vestiario negli ultimi anni sono lievitati e gli armadi sono vuoti. Alice e Riccardo raccontano una vita svuotata anche del piacere di godersi un film, dello stare con gli altri fino al punto di pensare di non valere niente di non essere niente.
Ma non si può vivere così bisogna reagire, smettere di sentirsi un peso, di sentirsi colpa del proprio presente e della mancanza di un futuro da sognare e iniziare a darsi da fare per riprendere in mano il presente e creare il futuro che si sogna.

"Alice senza niente" è un libro da leggere per tanti motivi, innanzitutto è gratis, infatti si può scaricare gratuitamente anche dalla rete, parla di una realtà dei nostri giorni, può aiutare genitori, nonni e zii a renderesi conto del vissuto dei più giovani e questi ultimi a non sentirsi soli e a trovare il modo di reagire e diventare protagonisti del loro vita e del loro futuro, inoltre anche se esistono già gli e.book ritengo sia un modo molto originale di aggirare il mondo editoriale e farsi conoscere e leggere veramente da molti.

I miei complimenti a Pietro De Viola e il link per scaricare a tutti voi:

www.alicesenzaniente.altervista.org


martedì 23 novembre 2010

De Profundis di Oscar Wilde


De Profundis di Oscar Wilde

Letto dal Circolo letterario la rosa bianca

Il De Profundis è che una lunga lettera di Oscar Wilde al suo amato Bosie. Si dice che la lettera non fu mai consegnata, in realtá Bosie non la lesse mai.

Wilde fin dagli anni del college e anche durante il matrimonio, si dedicava all'omosessualità, e lo sapevano in molti, ma era una delle tante eccentricità che gli si perdonava , in cambio della sua conversazione, della fantasia, cultura e fascino...ma quando nella vita di Wilde arrivò il Douglas detto ”Bosie”, figlio di un Lord, le cose cambiarono.
Il padre di Bosie insultò pubblicamente Wilde, dandogli del sodomita, e Wilde si lasciò coinvolgere nella lotta tra padre e figlio già esistente, denunciando il Lord per diffamazione. Causa che perse, perchè di prove della sua omosessualità ce ne erano parecchie: non era una diffamazione! Gli diedero il massimo della pena, per sodomia, due anni di carcere, di lavori forzati, e conseguente rovina finanziaria.
E' durante questi anni di carcere che scrive il De Profundis, eccone alcune frasi:
.. Mi biasimo per aver permesso che un'amicizia non intellettuale, un'amicizia il cui scopo primario non era la creazione e la contemplazione di cose belle, dominasse completamente la mia vita. Ammiravi il mio lavoro quando era compiuto: godevi dei brillanti successi delle mie prime e dei magnifici banchetti...ma non riuscivi a capire quali fossero le condizioni necessarie per produrre un'opera d'arte...durante l'intero periodo in cui fummo insieme non scrissi neppure un verso.”

”...La base del carattere è la forza di volontà e la mia divenne completamente sottomessa alla tua...quelle scenate incessanti che sembravano esserti quasi fisicamente necessarie, e durante le quali...tu diventavi una cosa tanto terribile da guardare quanto da ascoltare...la mania di scrivere lettere disgustose e ributtanti...improvvisi attacchi di furore quasi epilettico...Mi sfinisti.”

”...era soltanto nel fango che ci incontravamo...È necessario che io dica che vidi chiaramente che sarebbe stato un disonore per me il portare avanti anche solo un rapporto di conoscenza con una persona come quella che tu avevi dimostrato di essere? Attraverso tuo padre tu vieni da una razza con la quale unirsi in matrimonio è orribile; l'amicizia è funesta, e che mette le sue mani violente sia sulla propria che sulle vite degli altri... E se vuoi sapere quello che una donna prova veramente quando suo marito, il padre dei suoi figli, porta la divisa da carcerato, scrivi a mia moglie e chiediglielo. Te lo dirá.”

”... Solo ciò che è delicato, e concepito con delicatezza, può dare nutrimento all'Amore. Invece all'Odio tutto dà nutrimento. Non c'è stato un solo bicchiere di champagne che tu abbia bevuto in tutti questi anni che non abbia nutrito e ingrassato il tuo Odio. E, per gratificarlo, tu hai giocato d'azzardo con la mia vita, come hai giocato con il mio denaro, in modo incauto, sconsiderato, indifferente alle conseguenze. Se perdevi immaginavi che la perdita non sarebbe stata tua. Se vincevi, e lo sapevi, l'esultanza e i vantaggi della vittoria sarebbero stati tuoi.”

lunedì 15 novembre 2010

L’isola della follia di Douglas Preston & Lincoln Child


L’isola della follia di Douglas Preston & Lincoln Child



Il tempo della verità è arrivato, per l’agente Aloysius Pendergast. Sono passati dodici lunghi anni da quel tragico incidente in Africa, quando lui e Helen, giovani sposi, stavano dando la caccia al Dabu Gor, un gigantesco leone dalla criniera rosso sangue mangiatore di uomini. Di fronte all’animale, però, Helen aveva mancato il colpo, e in un attimo da predatrice si era trasformata in preda. Impotente e disperato, Aloysius l’aveva vista morire davanti ai suoi occhi. Ma quando, a distanza di anni, nella dimora di famiglia in Louisiana, Pendergast imbraccia il lucile con cui Helen aveva sparato quel maledetto giorno, viene alla luce un dettaglio inquietante: l’unico proiettile rimasto è caricato a salve. Sua moglie non aveva sbagliato il colpo: non aveva mai sparato davvero.

giovedì 11 novembre 2010

Regole di vita

Regole di vita (Tratte dal libro "un modo migliore di vivere" di Og Mandino)


1 - Considera le fortune che hai. Una volta che ti sarai reso conto di quanto vali, tornerai a sorridere, vedrai risplendere il sole, riuscirai finalmente ad andare in contro alla vita come Dio l’aveva intesa per te… con grazia, forza, coraggio e fiducia. Uno dei segreti della vita più importanti e inconfutabili che ho dovuto imparare, nel dolore, è che non puoi nemmeno iniziare a modificare un’esistenza irrimediabilmente fallita, un lavoro monotono e ingrato o una grave situazione finanziaria che sembra condannarti alla sconfitta personale finché non sai apprezzare i beni che già possiedi.


2 - Ogni giorno fai più di quanto tu sia pagato per fare. Una volta appreso il segreto di rendere più di quanto ti sia richiesto, il successo sarà quasi raggiunto. Fai in modo di essere così importante nel tuo lavoro da diventare indispensabile. Esercitati a percorrere qualche chilometro in più e goditi le ricompense che riceverai. Te le meriti!


3 - Quando commetti un errore o la vita ti delude, non guardarti indietro troppo a lungo. Gli errori sono il modo in cui la vita ti può insegnare qualcosa. La tua capacità di reagire agli errori grossolani è inseparabile dalla tua capacità di raggiungere gli obiettivi che ti sei prefissato. Nessuno vince sempre e le sconfitte, quando avvengono, fanno parte del tuo processo di crescita. Scrollati di dosso gli errori che hai commesso.


4 - Cerca sempre di premiare le lunghe ore di lavoro e di fatica nel modo migliore, circondandoti della tua famiglia. Coltiva con cura il loro amore, ricordando che i figli hanno bisogno di modelli, non di critiche. Progredirai più in fretta se ti sforzerai costantemente di mostrare loro il tuo lato migliore. E anche se agli occhi del mondo tu sei un fallito, ma hai una famiglia che ti ama, sei una persona di successo.


5 - Costruisci questo giorno sulle fondamenta di pensieri positivi. Non affliggerti per le imperfezioni che temi possano ostacolare i tuoi progressi. Ricordati, ogni volta che sarà necessario, che sei una creatura di Dio e hai la forza di realizzare qualsiasi sogno elevando i tuoi pensieri. Potrai volare quando deciderai di essere in grado di farlo. Non ripensare più alla sconfitta. La scia che la visione che hai nel cuore entri nei progetti della tua vita. Sorridi!


6 - Lascia sempre che le tue azioni parlino per te, ma stai in guardia contro le terribili trappole del falso orgoglio e della presunzione che possono fermare i tuoi progressi. La prossima volta che sarai tentato di vantarti, immergi la mano in un secchio pieno d ‘acqua e, quando la toglierai il buco rimasto nell’acqua ti darà la giusta misura della tua importanza.


7 - Ogni giorno è un dono speciale di Dio e, anche se la vita può non essere sempre giusta, non devi mai permettere che i dolori, le barriere e gli ostacoli del momento rovinino il tuo atteggiamento e i tuoi progetti per te stesso e il tuo futuro. Non potrai mai vincere se indosserai il terribile mantello dell’autocommiserazione: il suono spiacevole del lamento caccerà via di sicuro tutte le opportunità di successo. Non farlo mai più. C’è un modo migliore.


8 - Non riempire più i giorni e le notti di cose così futili e poco importanti da non avere il tempo di affrontare una vera sfida quando ti capita di incontrarne una. Questo vale sia per il tempo libero che per il lavoro. Un giorno in cui non si sia fatto altro che sopravvivere non merita di essere festeggiato. Non sei qui per sciupare ore preziose, visto che, cambiando leggermente la tua routine, avresti la possibilità di ottenere risultati migliori. Smettila di impegnarti con delle stupidaggini, smettila di nasconderti dal successo. Trova del tempo per crescere. Adesso. Non do mani, adesso!


9 - Vivi questo giorno come se fosse l’ultimo. Ricordati che “domani” esiste solo nel calendario degli sciocchi Dimentica le sconfitte di ieri e ignora i problemi di domani. Ecco. Il giorno del giudizio. Tutto quello che hai. Rendilo il giorno migliore dell’anno. Le parole più tristi che tu possa mai pronunciare sono: «Se potessi tornare indietro…» Afferra la vita con le mani, adesso! Questo è il tuo giorno! La maggior parte dei falliti si comporta come se avesse ancora mille anni da vivere davanti a sé. Alcuni dormono due o tre ore per notte più del necessario


10 - Tratta chiunque incontri, amico o nemico, amato o estraneo, come se dovesse morire a mezzanotte. Estendi a ogni persona, anche se si tratta di un rapporto superficiale, tutta l’attenzione, la gentilezza, la comprensione e l’amore che puoi dare, e fallo senza pensare a un’ eventuale ricompensa. La tua vita non sarà mai più la stessa.


11 - Ridi di te stesso e della vita. Non con lo spirito di derisione o di lamentosa autocommiserazione, ma come se fosse un rimedio, una medicina miracolosa che allevia il dolore, cura la depressione e ti aiuta a vedere in prospettiva la sconfitta del momento apparentemente terribile. Caccia la tensione, le preoccupazioni e le inquietudini ridendo della tua condizione, liberando la mente per poter pensare tranquillamente alla soluzione che troverai di sicuro. Non prenderti mai troppo sul serio.


12 - Non trascurare mai le piccole cose. Non risparmiare mai quello sforzo ulteriore, quei pochi minuti in più, quella dolce parola di lode o di ringraziamento, quella conferma di quanto tu possa fare meglio. Non importa cosa pensino gli altri; importa invece ciò che tu pensi di te stesso. Non potrai mai fare del tuo meglio — che dovrebbe essere il tuo obiettivo costante — se aggiri gli ostacoli e ti sottrai alle responsabilità. Sei speciale, comportati come una persona speciale. Non trascurare mai le piccole cose!


13 - Accogli ogni mattino con un sorriso. Guarda il nuovo giorno come un altro dono speciale del tuo Creatore, un’altra opportunità d’oro per finire ciò che non hai potuto completare ieri. Cerca di essere una persona efficiente, che non perde tempo. Predisponi la prima ora della tua giornata nel segno del successo e delle azioni positive che seguiranno certamente. Oggi non si ripeterà un‘altra volta. Non sprecarlo con una falsa partenza o, peggio ancora, senza partire affatto. Non sei nato per fallire.


14 - Stabilisci degli obiettivi per la singola giornata: progetti non lunghi e difficili da realizzare, ma che ti portino, passo dopo passo, verso il successo finale. Scrivili pure, se vuoi, ma fai in modo che l’elenco non sia troppo lungo, per non dover rimandare a domani le cose che oggi non sei riuscito a portare a termine. Ricorda che in ventiquattr’ore non puoi costruire una piramide. Sii paziente. Non lasciare che il tuo giorno sia così pieno da dover trascurare gli scopi più importanti: fare meglio che puoi, goderti questa giornata e andare a dormire soddisfatto di ciò che hai raggiunto.


15 - Non permettere mai a nessuno di guastarti la festa e far così scendere un velo di tristezza e di sconfitta sulla tua giornata. Ricordati che per scoprire cosa c‘è che non va non è necessario alcun talento, alcun sacrificio, alcuna capacità intellettiva. Niente dall’esterno può avere effetti su di te a meno che non sia tu a permetterlo.


16 - Cerca il seme del bene in ogni avversità. Impadronisciti di questo principio e avrai con te un prezioso scudo per proteggerti quando dovrai at traversare le valli più oscure. Si possono vedere le stelle nel fondo di un pozzo anche quando non le si può ammirare dalla cima di una montagna. Così, nelle avversità, imparerai delle cose che, senza problemi, non avresti mai scoperto. C ‘è sempre un seme del bene. Trovalo e fallo crescere.



17 - Renditi conto che la vera felicità è dentro di te. Non perdere tempo e non fare sforzi inutili per cercare soddisfazione, gioia e serenità nel mon do esterno. Ricordati che la felicità non consiste nell’avere ma solo nel dare. Porgi una mano. Condividi. Sorridi. Abbraccia. La felicità è un profumo che non puoi versare sugli altri senza ritrovarti con qualche goccia addosso.


lunedì 8 novembre 2010

La stella Acabar di Og Mandino (Riassunto)


La stella Acabar di Og Mandino

RIASSUNTO


Tulo era un bambino che viveva in un piccolo villaggio di nome Kalvala, all'estremo nord della Terra, era figlio di Pedar e Inga Mattis, la loro sussistenza, come quella della maggior parte dei loro vicini, era legata all'allevamento delle renne. Il branco dei Mattis era di quasi duecento esemplari e forniva latte, carne, vestiti e persino denaro. Nessuna parte della renna andava sprecata.

I ricordi più cari del piccolo Tulo erano di quando lui e il suo papà, nei giorni bui dell'inverno, quando il sole scompariva per due mesi circa, se ne stavano con la tenda in montagna a occuparsi delle renne, e poi si scaldavano vicino al fuoco. Tulo, quando trascorreva questi momenti con il padre ne approfittava per fare domande su tutto ciò che lo incuriosiva e che voleva conoscere del mondo, delle stelle, della vita.

Ben presto Pedar si rese conto che il figlio aveva una intelligenza particolare e d'accordo con la moglie, decisero di iniziarlo un anno prima a scuola, dato che il padre non era più in grado di dare risposte alle sue domande. Anche a scuola, la spiccata intelligenza del piccolo venne notata dal maestro, Arrol, che li andò a trovare per esprimergli il suo entusiasmo per il prodigioso Tulo e il suo disagio in quanto, oltre ad essere molto più avanti di tutti gli altri bambini, aveva anche letto tutti i libri della bibblioteca e ne chiedeva altri.

In seguito alla visita del maestro, il sig. Mattis decise di far ordinare tutti i libri che il maestro avrebbe ritenuto adatti e li avrebbe pagati di tasca sua, pur di coltivare il genio di Tulo. Nel frattempo la famiglia Mattis cresceva con l'arrivo di una sorellina Jaana.

Quando tornò la primavera la famiglia si spostò a Nord insieme alle renne. Per tutta l'estate Tulo lesse, studiò e scrisse. Quando, poi, non era impegnato fra i libri, il suo interesse erano gli aquiloni, già dalle prime settimane di scuola aveva studiato come si facevano e ne era rimasto affascinato, per cui adesso li costruiva, li faceva volteggiare finchè una corrente d'aria non li spingeva giù a schiantarsi.

All'arrivo dell'autunno veniva fatto un raduno, dove ognuno riconosceva le proprie renne e le prendeva al cappio come in un rodeo, per ben quattro anni, avevano sempre vissuto questo momento in modo felice e spensierato e della cattura si era occupato Pedar, ma un anno decise che era giunto il momento che anche il figlio partecipasse, Inga era molto preoccupata, perchè mentre tutti gli altri ragazzi tutte le estati si erano allenati per partecipare al raduno, Tulo aveva solo letto. Pedar non volle sentire ragioni e Tulo partecipò. Giunti quasi alla fine, Tulo insistette per fare lui una cattura, si trattava di una renna non molto facile da prendere e complice anche una piccola distrazione Tulo fu trascinato via con lei, il padre si gettò su di lui per aiutarlo e il ritorno a casa fu quantomai triste e luttuoso. Tulo riportò una grave ferita a una gamba mentre il padre perse la vita.

Il giovane passò molti mesi a letto impossibilitato a muoversi, ognuno che lo andava a trovare gli lasciava un regalo, i due più importanti furono un libro mastro di colore verde regalatogli dallo zio Varno come diario e la spinta morale giustà per riprendere a camminare del maestro Arrol.

Tulo riprese lentamente a camminare, e in primavera zoppicando si recò con la madre e la sorellina a nord, dove la madre aveva deciso di vendere oggetti artigianali ai turisti, voleva mantenere la promessa fatta insieme al marito di mandare Tulo all'università. Il lavoro fu talmente tanto che Inga si ammalò e morì. I due fratelli rimasero così soli.

Tulo per un pò abbandonò le sue letture e i suoi scritti e passava buona parte del tempo a pensare come potersela cavare lui e la sorellina. Presto venne l'inverno, iniziò a nevicare e ascoltando la radio Tulo sentì che stava per arrivare una terribile tempesta che sarebbe durata molto. Subito preparò le renne e corse all'unico negozio di kalvala per fare rifornimenti,

trovò il negozio pieno di gente e le provviste stavano per finire, per ciu tornò qualche ora dopo a casa con un sacco farina e tre candele. Lo zio Varno, preoccupato, passò da casa dei ragazzi per chiedere loro di andare a vivere a casa sua, almeno finchè non fosse finita la tempesta, nonostante l'insistenza i ragazzi, sicuri di farcela, rimasera nella loro capanna.


Tulo continuava a pensare alle parole della mamma circa Dio e l'albero che avevano nel prato, Inga diceva al figlio che il Signore ascolta sempre e a tempo dà le risposte e, proprio prima di morire gli disse di occuparsi della sorella, ricordarsi sempre che il suo destino andava al di là di Kalvala, quindi di allargare i propri orizzonti. Dio e l'albero delle stelle lo avrebbero aiutato.


Una Notte Tulo sognò la madre, un aquilone, l'albero delle stelle, un sogno triste e bello allo stesso tempo, come gli disse la sorella Jaana, così l'indomani decise di costruire un acquilone molto grande e si recò in paese con la sorella per comprare tutto il filo che c'era a disposizione, dopo andò vicino all'albero e fece volare il suo acquilone, finchè c'era filo, finchè scomparve fra le nuvole, e continuava a salire sempre di più. A un certo punto i fermò. Sembrava fosse bloccato, allora Tulo iniziò a tirare con forza, il filo ai suoi piedi si accumulava, e lui tirava fino a quando una luce lo accecò, aveva preso una stella. La stella Acabar, che lo guidava da quando era nato e si era lasciata catturare perchè credeva in lui e nelle sue grandi potenzialità e voleva aiutarlo in un momento di difficoltà perchè non si arrendesse. Jaana convinse il fratello che in un momento così difficile per il villaggio, di tormenta, oscurità e freddo, non era giusto che tenessero la stella solo per loro ma bisognava donarla. La stella fu orgogliosa della decisione e si rese disponibile ad essere spostata, bisognava solo decidere dove portarla, in città dove a primo acchitto dissero che spettava ai bambini decidere, successivamente il proprietario dell'unico negozio, il pastore, il maestro, il dottore, volevano tutti per sè la stella ognuno con le sue ragioni. Non riuscendo a trovare altri accordi decisero che ognuno avrebbe tenuto la stella per due settimane, fino al ritorno del sole, quando Tulo l'avrebbe legata all'aquilone e riportata in cielo.

Così si decise di fare, la stella Acabar aveva promesso a Tulo di dettargli Credenda, da scrivere nel suo libro verde e che lui si sarebbe impegnato a diffondere nel mondo, ma vennero così presto a prenderla che dovettero rimandare. Annodarono una corda attorno alla stella e iniziarono a tirerare, ma la stella cadde e si frantumò.

Tulo cadde nella disperazione, mentre i suoi vicini a turno lo andavano a trovare, chiedendogli di prendere un'altra stella e di donarla, ora alla chiesa, ora al negozio, ora all'ospedale, e così via..... Dopo un pò di riflessioni e con l'appoggio dello zio Varno, Tulo decise di ritentare e così presero un'altra stella, Lirra.

Lirra gli spiegò che molte stelle sono persone che hanno fatto qualcosa di importante, e che Acabar non era morta veramente la sua anima era viva a con un pò di anni sarebbe tornata a rispledere, come i genitori di Tulo, e molte altra persone. Stavolta la stella non venne spostata, gli abitanti di kalvala si resero conto di essere stati egoisti a volerla ognuno per sè e decisero di lasciarla sull'albero. Lirra dettò a Tulo la Credenda e lui promise che avrebbe fatto di tutto per farla conoscere.


Quando tornò il sole, si organizzarono per far tornare Lirra in cielo, la legarono all'acquilone e mentre saliva Tulo si legò ad essa e sparì con lei in cielo. Gli abitanti di Kalvala si sentirono in debito nei confronti di Tulo e decisero di far conoscere la sua storia, il maestro prese il libro verde e cercò di farlo pubblicare, ma non ebbe risultati, così per anni il libri rimase nei suoi scaffali ad impolverarsi, finchè la moglie di disse di restituirlo a Jaana, come dono di nozze, il marito di Jaana era in politica per cui si allontanarono da villaggio, ebbero un figlia Inga, che come tutti i bambini portò loro fortuna. Il marito di Inga, andò a lavorare nella delegazione del comitato dell'Assemblea Generale, e un giorno mentre insieme erano in terrazza videro Tulo, fra le stelle le cielo.






venerdì 5 novembre 2010

Un sorriso in una lacrima di Eros Otto

Un sorriso in una lacrima di Eros Otto

Recensione di Enza Iozzia

Eros Otto è un giovane siciliano autore di : - Un sorriso in una lacrima, (da Kimerik Editrice Pag. 84 Euro 12,00) , con forza d ' animo e coraggio ha deciso di raccontarsi tra le righe di questo piccolo romanzo , pieno di emozioni e traumi da lui stesso subiti e vissuti.Non è facile a volte neanche immaginarle, ma nel Volume, lui mette in evidenza sofferenze, ansie e sentimenti che lui stesso (Eros) prova a causa di un trauma psichico di origine sessuale subito durante la sua infanzia.

Grazie ad un confidente quasi irreale ,un anziano del paese, un uomo tagliato dalla società , ma che che con la curiosità di un bambino ascolta le vicissitudini del nostro protagonista che pian piano riesce ad aprirsi e a trovare la chiave della sua serenità! A mio avviso dunque gli va riconosciuto il merito di essere riuscito non solo a guarire da ferite così profonde ma anche quello di essersi proposto come esempio a persone che hanno vissuto esperienze analoghe.

Lui stesso dichiara nel suo libro nella nota finale : "Ad alcuni potrà sembrare una storia come tante, altri penseranno che sia tutto inventato ...non importa. Ritengo che Eros Otto attraverso questa pubblicazione, abbia dimostrato praticamente che, talvolta è possibile riappropriarsi della propria vita anche quando questa viene messa duramente alla prova.

Enza Iozzia

lunedì 1 novembre 2010

Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde


Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde

letto dal circolo letterario la Rosa Bianca


Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde è un celebre racconto umoristico giovanile, tratta di un ministro del parlamento americano, Hiram B. Otis, che si trasferisce in Inghilterra insieme alla famiglia, composta da moglie, figlio maggiore Washington, due gemelli pestiferi e dalla giovane Virginia, andando ad abitare nel castello di Canterville, pur sapendo che tale castello è infestato da un fantasma, l'antico proprietario, Sir Simon de Canterville, che aveva ucciso la moglie Lady Eleonore de Canterville e poi era scomparso nel nulla. Nessuno ha più il coraggio di avvicinarsi al castello e moltissime persone sono fuggite terrorizzate o sono rimaste sconvolte.

Deciso a far scappare i nuovi proprietari dal suo castello, il fantasma tenta di spaventarli in tutti i modi, usando anche degli stratagemmi che da secoli non usava, ma invano. Gli Otis, infatti, non sono per nulla spaventati e rispondono ironicamente a ogni tentativo fallito del fantasma e gli parlano tranquillamente, burlandosi di lui (il quale fa apparire macchie di sangue, rumoreggia con le sue catene, ulula la notte). Infine, la famiglia Otis instaura un certo rapporto con lo spettro, il quale è ormai depresso perché non riesce a far spaventare più nessuno, anzi lui stesso è spaventato dagli scherzi dei due gemelli.

Un giorno Virginia, di ritorno da una cavalcata con il giovane promesso, sente piangere e trova il fantasma, con cui inizia a parlare e che poi aiuta a trovare la via per salvarsi: Virginia prega Dio di perdonare le colpe del fantasma e di farlo morire definitivamente.