martedì 30 novembre 2010

Divina Commedia- Inferno (Canto 1)


Divina Commedia- Inferno (Canto 1)

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita. 3

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura! 6


Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte. 9

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai. 12

Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto, 15

guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle. 18

Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta. 21

E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata, 24

così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva. 27

Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso. 30

Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta; 33

e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
36

Temp’era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino 39

mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle 42

l’ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone. 45

Questi parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse. 48

Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame, 51

questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.
54

E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista; 57

tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace. 60

Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco. 63

Quando vidi costui nel gran diserto,
"Miserere di me", gridai a lui,
"qual che tu sii, od ombra od omo certo!". 66

Rispuosemi: "Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui. 69

Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. 72

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ’l superbo Ilïón fu combusto. 75

Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?". 78

"Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?",
rispuos’io lui con vergognosa fronte. 81

"O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ ha fatto cercar lo tuo volume. 84

Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ ha fatto onore. 87

Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi". 90

"A te convien tenere altro vïaggio",
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
"se vuo’ campar d’esto loco selvaggio; 93

ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; 96

e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria. 99

Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia. 102

Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro. 105

Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute. 108

Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla. 111

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno; 114

ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida; 117

e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti. 120

A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire; 123

ché quello imperador che là sù regna,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna. 126

In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio:
oh felice colui cu’ ivi elegge!". 129

E io a lui: "Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
acciò ch’io fugga questo male e peggio, 132

che tu mi meni là dov’or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti". 135

Allor si mosse, e io li tenni dietro.

PARAFRASI

Il canto primo dell'Inferno di Dante Alighieri funge da proemio all'intero poema, e si svolge nella selva e poi sul pendio che conduce al colle. Qui Dante incontra Virgilio, che lo accompagnerà nella visita dell'Inferno, prima tappa della sua purificazione dal peccato.
A metà del cammino ideale della nostra vita avendo smarrito al strada giusta mi ritrovai in una foresta buia. Ah è molto difficile dire come era questa foresta selvaggia, fitta e impenetrabile senza che il suo pensiero non mi spaventi. Tanto è amara che solo la morte lo è di più; ma per parlare delle belle cose che ho trovato, ne dirò anche delle altre che ho visto. Non so dire esattamente come entrai nella foresta, tanto ero assonnato quando abbandonai la via della verità. Ma quando giunsi ai piedi di un colle là dove terminava quella valle che mi aveva trafitto il cuore di paure, guardai in alto e vidi le sue pendici illuminate già dai raggi del pianeta che guida ciascun uomo per la giusta strada. Allora si quietò la paura che si era consolidata nella cavità del mio cuore durante la notte che passai con tanto timore.E come quel naufrago che, con il respiro affannato, giunto fuori dal mare, si volta a guardare l’ acqua pericolosa, così il mio animo, che fuggiva ancora, si voltò indietro a contemplare il passaggio che nessuno aveva mai attraversato uscendone vivo. Dopo aver lasciato il corpo a riposarsi, ripresi il cammino per la campagna deserta,facendo si che il piede fermo fosse sempre il più in basso.(in salita) Ed ecco, quasi all’ inizio della salita, una pantera dal manto maculato snella e molto agile; e mi si mise davanti senza spostarsi impedendomi di proseguire il cammino, così fui costretto a tornar più volte indietro. Era quasi l’ alba e il sole sorgeva insieme alle stelle che erano con lui quando l’ amore divino compì la creazione di quelle cose belle; così che erano motivo di sperare a proposito di quella fiera dalla pelle leggiadra l’ ora e la stagione primaverile;ma non così tanto che non mi spaventasse la vista dell’ apparizione di un leone. Questo pareva venirmi in conto con la testa alta e incredibile fame, tanto che sembrava che l’ aria tremasse. E apparve una lupa, nella sua magrezza, sembrava farsi carico di tutti i desideri del mondo, e già mise in crisi la vita di molte persone, questa mi oppresse fino a che la paura che mi faceva venire a guardarla, mi fece perdere le speranze di arrivare in cima. Come quello che accumula beni, e quando giunge il momento in cui perde tutto non ha pensieri che per piangere e rattristarsi, così mi trasformò la bestia irrequieta, che, venendomi incontro pian piano, mi faceva tornare nella foresta buia. Mentre precipitavo verso la foresta si offrì alla mia vista colui che a causa del silenzio pareva un ombra. Quando vidi questo uomo nel deserto, gli gridai: “Abbi pietà di me chiunque tu sia, fantasma o uomo”. Mi rispose: “Non sono un uomo, uomo lo ero, e i miei genitori furono lombardi, entrambi mantovani di nascita. Nacqui sotto Giulio Cesare, ma ero piccolo quando morì, vissi a Roma sotto il buon Augusto nel tempo delle false divinità pagane. Fui un poeta e cantai la storia di quel giusto figlio di Anchise che venne da Troia, dopo che fu bruciato lo splendido Ilion. Ma tu perchè ritorni a tanta sofferenza? Perché non sali il monte dilettoso Che è l’ inizio di tutte le gioie?” “Dunque sei tu quel famoso Virgilio, fa fonte di tutto quello splendido fiume di parole?” gli risposi abbassando lo sguardo. “Oneri e insegnamenti degli altri poeti mi valgano il lungo studio e il grande amore che mi ha spinto a studiare la tua opera. Tu sei il mio maestro e il mio autore preferito, tu sei il solo da cui presi il magnifico stile che mi ha reso celebre. Vedi la bestia che mi ha fatto tornare indietro; aiutami tu che sei famoso per la tua saggezza, poiché ella mi ha fatto svenire dalla paura”. “Tu devi intraprendere un altro viaggio”, rispose dopo che mi vide piangere, “se vuoi scappare da questa foresta; poiché questa bestia, della quale hai paura, non lascia passare nessuno per la sua via, ma ostacola chiunque fino ad ucciderlo; e ha una natura così cattiva, che la sua voglia bramosa non sazia mai, e dopo aver mangiato ha più fame che prima. Gli animali con cui si accoppia sono molti, e saranno ancora di più , fino che il veltro non verrà a farla morire dolorosamente. Non si ciberà né di terre né di denaro, ma di sapienza, amore e virtù, e nascerà tra poveri panni. Sarà la salvezza di quell’ umile Italia Per cui morirono la vergine Camilla, Eurialo, Turno e Niso di ferute. Questi la caccerà per ogni città fino a che non l’ avrà rimessa nell’ inferno, là dove l’ invidia di Lucifero la scatenò. Quindi per il tuo bene penso e scelgo che tu mi segua, ed io sarò la tua guida, e ti trascinerò da qui attraverso il luogo eterno, dove sentirai le grida disperate, vedrai le antiche anime sofferenti,poiché della seconda morte tutti si lamentano; e vedrai coloro che sono contenti nel fuoco, perché sperano di giungere, prima o poi, tra le genti beate del paradiso. Al quale potrai salire, e ti guiderà un’ anima più degna di me: a lei ti lascerò andandomene; perché l’ imperatore che regna lassù, poiché mi ribellai alla sua legge, non vuole che vada alla sua città. Egli omanda da tutte le parti e qui lui è il re, questa è la sua città e l’ alto trono: oh, felice chi viene scelto!”. E gli dissi: “Poeta io ti chiedo in nome di quel Dio che non hai conosciuto, perchè io fugga da questo male e un eventuale peggioramento, che tu mi conduca la dove hai detto, facendo si che io veda la porta di San Pietro e tutti coloro di cui mi hai raccontato”. Allora si incammino, e io lo seguii.

1 commento:

Anonimo ha detto...

excellent article. But I need more written