giovedì 5 aprile 2012

Il Mito nel Novecento letterario



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Autori:
Cinzia Demi - Rosa Elisa Giangioia - Daniele Gigli - Gianfranco Lauretano - Antonio Melillo - Giancarlo Micheli - Andrea Muni - Neil Novello - Anna MariaTamburini - Matteo Veronesi.





Se vogliamo avvicinarci ad una prima definizione del termine mito, possiamo dire che esso è la trasfigura­zione d’un personaggio o d’una serie di fatti veri che possiedono in sé realmente alcune qualità diverse da quelle generalmente possedute dagli uomini, che tuttavia vengono ampliate dalla fantasia collettiva e per questo divengono da un lato modelli da imitare, dall’altro dei simboli di modi di essere a cui aspirare. Pos­siamo avanzare una più complessa definizione di mito, per cui il termine è legato a valori di cui l’uomo è rimasto privo, a qualcosa che non c’è più, che è migliore perché è diverso, che può dare la vera felicità per­ché la condizione in cui si vive non è soddisfacente. Il concetto di mito contiene almeno due valenze: l’una è una proiezione spesso istintiva, inconsapevole, emotiva e fantastica verso valori ritenuti positivi, per cui il mito viene prodotto dall’inconscio collettivo, dall’interno d’un gruppo d’individui che celebrano qualcuno o qualcosa fuori di loro; quindi il personaggio mitico è identificabile con una comunità, ma dalla comunità s’astrae, trascende da essa per elevarsi a simbolo di realizzazione del singolo individuo; egli rappresenta il fantastico che nasce dal reale, lo straordinario che s’allontana dall’ordinario; il mitizzare è l’ingigantire da parte della comunità, idealizzando, le qualità, senza considerare i difetti o i limiti. Sembra che nella modernità si relativizzi il concetto di mito, ma il relativismo è una contraddizione in termini: soltanto un principio di misura superiore permette di dire che una cosa equivale ad un’altra, o si differenzia, quindi il mito oggi non è da considerarsi diverso concettualmente, praticamente si, dal mito antico. Per capirlo v’è bisogno d’una dimensione storica, si deve accettare l’idea che l’atto cognitivo col quale si attesta il mito è un riconoscere e che dunque al principio della sua conoscenza prevale una reiterazione.




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