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La tredicesima mano di Russel braddon
Benvenuti nel mio blog, qui troverete recensioni, riassunti, film, video, storie di fantasia, favole e........buona lettura a grandi e piccini!
Le protagoniste del libro parlano in prima persona ed ogni intervista è un racconto nel quale al colloquio si alterna la descrizione dell'ambiente e lo sfondo psicologico.
La storia di queste donne rispecchia l'evoluzione della società italiana e il motivo che ispira tutto il libro è il modo in cui, alla donna, è diventato fattibile realizzarsi in quelle attività dalle quali, una volta, era esclusa.
Vengono rappresentate tutte quelle situazioni nelle quali la donna viene a trovarsi nei confronti dell'uomo, che sia il marito, il partner, il compagno e in che modo essa subisce una preminenza che l'ostacola oppure come riesce a combattere per affermare la propria autonomia.
L'autrice ascolta le donne intervistate e indaga nelle loro biografie riuscendo a cogliere i tratti più interessanti di questi personaggi femminili.
Viene così affrontato il tema del rapporto di coppia e di come il cambiamento di ruolo della donna, da quello di madre e di moglie a quello di donna che svolge una attività al di fuori delle mura domestiche, ne abbia trasformato la fisionomia.
All’ingresso della vita,
timoroso, m’affacciai
da una porta semichiusa.
Vi picchiai sú con due dita,
poi con garbo dimandai:
– «È permesso? Chiedo scusa...
Entro o no?..» – Silenzio.
Spingo allor, pian pian, la porta.
Bujo pesto. Ne sorrido;
ma agghiacciar dentro mi sento.
– «Che la vita sia già morta?»
Vo tentoni; inciampo. un grido,
mi riempie di spavento:
– «Non ci vedi? Canchero!» –
Chi un fiammifero ora sfrega
in quel bujo alla parete?
Ecco lume alfine. Vedo
una vecchia, sconcia strega
chi mi spia; poi fa: – «Chi siete?»
– «Ecco, – le rispondo, – chiedo
scusa dell’incomodo...
Io son un che arriva adesso.
Sarà tardi? Nel viaggio
ho la via forse smarrita...
Ma – potendo – col permesso,
lesto lesto, di passaggio,
visitar vorrei la vita.
Me ne vado subito...» –
– «Ah, tu pur, tu pur d’entrare
nella vita hai voglia? Sciocco!
Che t’aspetti? dimmi un po’...
Non hai dunque altro da fare?»–
Sto a guardar come un allocco
e rispondo: – «Ma... non so...
non so nulla... proprio...» –
– «Eh, si vede! – allor soggiunge
la stregaccia. – Piglia a caso
la tua sorte, e ben t’occorra!
Pria d’entrare, ognun che giunge,
si fornisce in questo vaso
d’un malanno per zavorra.
Sai l’antica storia
di Promèteo e di Pandora?
Sú, sú, prendi: il vaso è qui.
Io Pandora son; vecchiaja
maledetta! vivo ancora,
e ridotta son cosí
a far qui da portinaja.
Basta. Hai preso? Sbrigati!» –
Affondai la man tremante
in quel cavo enorme, oscuro,
e la sorte mia pescai;
poscia entrai... Ne ho viste tante,
che oramai piú non mi curo
di saper qual male mai
rechi la mia tessera.
Una bicicletta nuova ti ho comprato
però tu sei caduto dal sellino
ed hai il naso tutto blu.
Siamo andati dal dottore
e ti ha detto:
guarirai basta fare una puntura
e tutto passerà.
No no ma il culetto è mio
è mio perciò no no non ci stò
ma il culetto è mio
è mio perciò la puntura no no no.
Sopra i pattini a rotelle come il vento andavi tu,
ad un tratto ai fatto un volo e ti sei trovato giù,
ora ti fa male un dito
e il dottore ha detto già:
basta fare una puntura
e tutto passerà.
No no no ma il culetto è mio
è mio perciò no no non ci stò
ma il culetto è mio
è mio perciò la puntura no no .
L'automobilina da scontro sulla pista al luna park
l'hai guidata come un pazzo tra scossoni e patatrak
ora un piede ti fa male
e il dottore ti dirà:
basta fare una puntura e tutto passerà .
No no ma il culetto è mio
è mio perciò no no non ci stò,
ma il culetto è mio
è mio perciò la puntura no no .
Lungo la vigna, appoggiandomi col piede a una gronda, sono sceso in questa carrozza la cui epoca e abbastanza chiaramente indicata dai cristalli convessi, dai pannelli rigonfi e dai sofà contorti. Carro funebre del mio sonno, isolato, casa di pastore della mia sciocchezza, il veicolo gira sull'erbetta dello stradone cancellato: e in un guasto del cristallo a destra, là in alto, volteggiavano le smorte. figure lunari, foglie, seni.
- Un verde e un turchino intensissimi invadono l'immagine.
Staccar dei cavalli nei pressi d'una macchia di ghiaia.
- Qui si fischierà per l'uragano, e le Sodome e le Solime, e le bestie feroci e le armate.
(Postiglione e bestie di sogno torneranno sotto i boschi più soffocanti, per immergermi fino agli occhi nella sorgente di seta?).
E mandarci, frustati attraverso le acque ciangottanti e le bevande versate, a rotolare sull'abbaio dei mastini...
- Un soffio disperde i limiti del focolare.
Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente, nú vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de' tuoi gentili anni caduto.
La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge i miei tetti saluto,
Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta,
E prego anch'io nel tuo porto quiete.
Qual dagli antri marini
L'astro più caro a Venere
Co' rugiadosi crini
Fra le fuggenti tenebre
Appare, e il suo viaggio
Orna col lume dell'eterno raggio;
Sorgon così tue dive
Membra dall'egro talamo,
E in te bèltà rivive,
L'aurea beltate ond'ebbero
Ristoro unico a' mali
Le nate a vaneggiar menti mortali.
Fiorir sul caro viso
Veggo la rosa, tornano
I grandi occhi al sorriso
Insidiando; e vegliano
Per te in novelli pianti
Trepide madri, e sospettose amanti.
Le Ore che dianzi meste
Ministre eran de' farmachi,
Oggi l'indica veste
E i monili cui gemmano
Effigiati Dei
Inelito studio di scalpelli achei,
E i candidi coturni
E gli amuleti recano,
Onde a' cori notturni
Te, Dea, mirando obliano
I garzoni le danze,
Te principio d'affanni e di speranze:
0 quando l'arpa adorni
E co' novelli numeri
E co' molli contorni
Delle forme che facile
Bisso seconda, e intanto
Fra il basso sospirar vola il tuo canto
Più periglioso; o quando
Balli disegni, e l'agile
Corpo all'aure fidando,
Ignoti vezzi sfuggono
Dai manti, e dal negletto
Velo scomposto sul sommosso petto.
All'agitarti, lente
Cascan le trecce, nitide
Per ambrosia recente,
Mal fide all'aureo pettine
E alla rosea ghirlanda
Che or con l'alma salute April ti manda.
Così ancelle d'Amore
A te d'intorno volano
Invidiate l'Ore.
Meste le Grazie mirino
Chi la beltà fugace
Ti membra, e il giorno dell'eterna pace.
Mortale guidatrice
D'oceanine vergini,
La parrasia pendice
Tenea la casta Artemide,
E fea terror di cervi
Lungi fischiar d'arco cidonio i nervi
Lei predicò la fama
Olimpia prole; pavido
Diva il mondo la chiama,
E le sacrò l'elisio
Soglio ed il certo telo,
E i monti, e il carro della luna in cielo.
Are così a Bellona.
Un tempo invitta amazzone,
Die' il vocale Elicona;
Ella il cimiero e l'egida
or contro l'Anglia avara.
E le cavalle ed il furor prepara.
E quella a cui di sacro
Mirto te veggo cingere
Devota il simolacro,
Che presiede marmoreo
Agli arcani tuoi lari
Ove a me sol sacerdotessa appari,
Regina fu, Citera
E Cipro ove perpetua
Odora primavera
Regnò beata, e l'isole
Che col selvoso dorso
Rompono agli Euri e al grande Ionio il corso.
Ebbi in quel mar la culla,
Ivi erra ignudo spirito
Di Faon la fanciulla,
E se il notturno zeffiro
Blando sui futti spira,
Suonano i liti un lamentar di lira:
Il "Kebra Nagast", in lingua ge'ez "La Gloria dei Re", proclama la discendenza della monarchia etiope dalla stirpe di Davide, a cui appartiene lo stesso Gesù Cristo. Il Kebra Nagast è un testo sacro denso e affascinante che si presta a molteplici letture. È il racconto avvincente e poetico dell'amore tra Salomone e Makeda, la regina di Saba, vicenda soltanto velatamente accennata nella Bibbia. È un classico della letteratura sacra dell'Africa cristiana. È infine il testo che pone la basi per un importante movimento religioso, politico e culturale dei nostri tempi: il Rastafarianesimo. Il Kebra Nagast è infatti sacro per tutti i credenti della religione rastafariana, convinti che l'Etiopia sia il nuovo Israele e che il Negus Neghesti Halle Selassie I sia letteralmente un Cristo ritornato, colui che realizza concretamente la profezia sul regno terreno che deve instaurarsi prima della fine del mondo. Al centro del libro c'è il trasferimento dal tempio di Gerusalemme di Zion, l'Arca dell'Alleanza, segno concreto della presenza divina nel mondo, che molti ritengono ancora oggi custodito in Etiopia. Dalla Giudea all'Etiopia fino alla Giamaica e ai suoi aneliti di liberazione, l'Arca, simbolo di giustizia e di speranza a cui affidarsi e per cui lottare, rappresenta oggi l'eredità profonda di questo libro alle future generazioni.