INGRESSO di Luigi Pirandello
All’ingresso della vita,
timoroso, m’affacciai
da una porta semichiusa.
Vi picchiai sú con due dita,
poi con garbo dimandai:
– «È permesso? Chiedo scusa...
Entro o no?..» – Silenzio.
Spingo allor, pian pian, la porta.
Bujo pesto. Ne sorrido;
ma agghiacciar dentro mi sento.
– «Che la vita sia già morta?»
Vo tentoni; inciampo. un grido,
mi riempie di spavento:
– «Non ci vedi? Canchero!» –
Chi un fiammifero ora sfrega
in quel bujo alla parete?
Ecco lume alfine. Vedo
una vecchia, sconcia strega
chi mi spia; poi fa: – «Chi siete?»
– «Ecco, – le rispondo, – chiedo
scusa dell’incomodo...
Io son un che arriva adesso.
Sarà tardi? Nel viaggio
ho la via forse smarrita...
Ma – potendo – col permesso,
lesto lesto, di passaggio,
visitar vorrei la vita.
Me ne vado subito...» –
– «Ah, tu pur, tu pur d’entrare
nella vita hai voglia? Sciocco!
Che t’aspetti? dimmi un po’...
Non hai dunque altro da fare?»–
Sto a guardar come un allocco
e rispondo: – «Ma... non so...
non so nulla... proprio...» –
– «Eh, si vede! – allor soggiunge
la stregaccia. – Piglia a caso
la tua sorte, e ben t’occorra!
Pria d’entrare, ognun che giunge,
si fornisce in questo vaso
d’un malanno per zavorra.
Sai l’antica storia
di Promèteo e di Pandora?
Sú, sú, prendi: il vaso è qui.
Io Pandora son; vecchiaja
maledetta! vivo ancora,
e ridotta son cosí
a far qui da portinaja.
Basta. Hai preso? Sbrigati!» –
Affondai la man tremante
in quel cavo enorme, oscuro,
e la sorte mia pescai;
poscia entrai... Ne ho viste tante,
che oramai piú non mi curo
di saper qual male mai
rechi la mia tessera.
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