-->
Giancarlo Micheli costruisce una trama singolare, sospesa tra storia, mito e misurata invenzione. La figura di Giacomo Puccini viene ricostruita attraverso un racconto che ne esalta l'universo più intimo con le sue contraddizioni e il suo genio; parla della sua famiglia e del legame affettivo con persone carnali che riecheggiano quelle che vivono nelle sue opere.
Innovativa la tecnica utilizzata da Micheli per raccontare i fatti. Siamo di fronte a un fenomeno di anaglittica lessicale, a scelte di finissimo intaglio espressivo: l’autore, prima, descrive la scena, dando l’impressione al lettore che le vicende non sarebbero state plausibili se non inserite in quel preciso contesto, quindi, introduce la sua musica, aprendosi al vento travolgente della poesia e della creatività totale. Tutta la storia è raccontata attraverso una scrittura polifonica che non ha niente a che vedere né con la bigiotteria linguaiola, né con l’esibizione acrobatica propria di quei personaggi che fanno venire in mente lo sprezzante giudizio di Cocteau sul narcisismo letterario di Flaubert “sempre con il fucile in spalla, ma incapace di colpire il bersaglio”. Micheli si è reso conto che il “romanzo è una malattia del linguaggio”, che la capacità di raccontare si è pietrificata, che la lingua deve tornare a produrre coinvolgimento e sogno. Da qui il mosaico fatto di descrizioni rapite dove ogni situazione sembra essere partorita da quella che la precede, dove ogni lemma è l’eco, l’ombra dell’idea sulla cosa.